Descrizione
Atlantide ha attraversato come un filo rosso la storia del radicalismo di destra: dagli ariosofi, che giocarono un ruolo importante nella fase d’incubazione del nazionalsocialismo, passando per i numerosi autori nazionalisti degli anni ’20, la Società Teosofica di Helena Blavatsky e illustri esponenti del Partito nazista come Wirth e Rosenberg, per arrivare alla nuova destra europea e ai neonazisti tedeschi. Una continuità che esige una riflessione approfondita in grado di decifrare i meccanismi che hanno attivato questa fascinazione.
L’autore prende in considerazione le analisi di illustri studiosi del mito di Atlantide: fra le altre, quella di Julius Evola, secondo cui l’«uomo dominatore», appartenente alla razza nordica, avrebbe affrontato le «assai meno valorose razze del Sud»; e quella di Georges Sorel, che vedeva nel mito una successione di immagini in grado di suscitare stati d’animo ed emozioni di portata sociale. Rifacendosi agli studi sul mito di Roland Barthes, dietro all’immagine dell’isola paradisiaca Wegener giunge però a scorgere una sostanziale pulsione di morte.
Una pulsione da cui non sono esenti le teorie nazionalsocialiste: alla ricerca delle origini del popolo ariano, Hitler e Himmler formularono la tesi secondo la quale la pura razza degli abitanti di Atlantide – da loro collocata nel Nord del mondo – tramontò essendosi mescolata con specie inferiori. I pochi ariani sopravvissuti, migrati sul continente, sarebbero i progenitori della superiore razza tedesca destinata a dominare la terra.
Seguaci di una visione apocalittica del mondo, i nazisti trovarono nell’immagine-modello di Atlantide il folle ideale di perfezione e superiorità che li risucchiò, inconsapevolmente, in un vortice sempre più rapido di autodistruzione.
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