Description
Periodi, episodi, momenti della storia attraverso immagini rare ed inconsuete, tratte da archivi personali, albums di famiglia, ricordi dei protagonisti, prima che si perdano e perché ne resti memoria.
Formato 17×24 – Pagine 138 interamente illustrato con circa 300 immagini a colori e B/N – Copertina flessibile plastificata – Brossura
Dal 1887 al 1895, durante nove anni, il Corpo di sedizione del Regio Esercito in Eritrea aveva avuto solo nove scontri con il nemico: di essi, sette si erano conclusi con successo dovuto più al valore di singoli comandanti “sul campo”, in particolare dei Maggiori Galliano e Toselli, che dei Generali “in campo”; tuttavia non si era mai trattato di battaglie nel vero senso della parola.
Galliano e Toselli, due piemontesi solidi, coraggiosi, immuni dalla retorica e dalla vanità, idolatrati dai propri Battaglioni eritrei, si erano fatti le ossa in Colonia, meritandosi la cieca fiducia dei loro Ascari che li veneravano come Dei. “Tu stare mio padre e mia madre” era il più semplice e commovente complimento che quei giovanissimi eritrei, sudanesi o yemeniti rivolgevano al loro comandante.
C’erano stati all’inizio, è vero, l’insuccesso di Saganeiti e di Dogali, ma i successivi combattimenti avevano lenito quelle ferite, sia pur molto lentamente.
Alla fine del 1895, il 7 dicembre, era arrivato il fulmine a ciel sereno dell’Amba Alagi con i suoi 1500 caduti e la perdita di un eroe nazionale, il Maggiore Toselli, che aveva profondamente scosso l’Italia. Il Paese veniva poi commosso, un mese dopo, dall’epopea della Medaglia d’oro Galliano, chiuso nel forte di Macallè con il suo leggendario III Battaglione al centro dell’immenso accampamento scioano. A seguito di questi fatti, l’opinione pubblica partecipava appassionatamente alla partita mortale che si giocava nella lontana Africa e chiedeva vendette per i caduti e onore per la Bandiera che il Regio Esercito sventolava tra le Ambe.
Francesco Crispi era al potere da anni ed aveva ingaggiato una guerra a distanza con Menelik: il suo campione era ora il Generale Oreste Baratieri, da alcuni considerato semplicemente un vanitoso, da altri più un politico che un militare, più un giornalista abile nel far parlare di sé che un Capo; questo Generale, però, era incappato nei 1500 morti dell’Amba Alagi,morti che aveva per metà sulla coscienza dato che l’altra metà spettava al suo sottoposto Arimondi. I telegrammi, sempre più imbarazzanti, che Baratieri spediva in Italia, dipingevano il Governatore dell’Eritrea come un uomo preoccupato, irresoluto, poco incline ad osare, molto attento a coprirsi dalla insidie alle quali l’altezza del suo comando lo esponeva.
Persino il grande protettore, Crispi, se ne accorse e puntò su Baldissera, veramente un gran soldato. Questo militare italo-austriaco, poi passato nel Regio Esercito con l’Unità d’Italia, ebbe il via per la partenza, segretissima, dieci giorni prima di Adua, allorché Baratieri inviò a Roma il telegramma del 21 febbraio 1896 in cui, invece di spiegare come intendeva vendicare i morti dell’Amba Alagi, annunciava l’intenzione di ripiegare su “posizioni più arretrate”. Fu la classica goccia che fa traboccare il vaso: insieme alla partenza di Baldissera il Governo decise anche l’invio di altri dodici Battaglioni di Fanteria che, però, arrivarono dopo il disastro.
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